Titolo: Boccioli di rose

Autore: Maria Cristina Pizzuto

Casa Editrice: PubMe

Genere: Autobiografia

Anno di pubblicazione: 2019

Pagine: 84

TRAMA

Il libro presenta la vita interpretata dagli occhi di una ragazza anoressica, sotto molteplici aspetti della quotidianità. Si alternano stralci di riflessioni, pensieri, emozioni, e paragrafi in cui lei descrive come uscire da quei meccanismi della mente, e dunque, con l’andar del tempo, in che modo venire fuori dal tunnel dell’anoressia.

RECENSIONE

Quando inizi la lettura di un libro su malattie o esperienze personali segnanti, sai che sarà difficile fermare le lacrime, sai che non potrai comprendere a pieno lo stato d’animo espresso, ma sei lì davanti alla prima pagina, con la consapevolezza che non sarai più la stessa dopo aver concluso la lettura. Ecco cosa è capitato a me leggendo questo libro, un libro non semplice, che parla di toccare il fondo, rabbia, solitudine e tu sei lì, inerme, che non puoi fare niente… semplicemente leggere.

“I Boccioli sono metafora degli stralci di emozioni e inquietudini che vengono a galla, ancora immaturi, per poter poi diventare un bellissimo fiore, in questo caso la Rosa”

Boccioli di rose narra la storia di una ragazza, entrata nel circolo vizioso dell’anoressia. Una ragazza sola, senza amici, una situazione familiare abbastanza complicata, (dal racconto si intuisce che i genitori sono separati), sballottata tra la casa del padre e quella della madre, una madre, poi, opprimente, che vuole controllare la figlia in tutto e per tutto.

Il libro è composto da due parti principali: la prima rappresenta il racconto che fa da collante a uno scritto in grassetto che vuole essere la testimonianza diretta della malattia. Questa testimonianza si presenta come un diario, in cui sfogare i propri pensieri ed emozioni, soprattutto in un contesto sociale dove non è facile sfogarsi, in cui le persone non rispettano e non comprendono il tuo punto di vista, non vogliono neanche ascoltare ciò che stai vivendo.

L’unica cosa che sanno di te è che sei strana, sbagliata, fuori posto, che crei vergogna. Non sono loro che devono adeguarsi a te e alla tua condizione “sfortunata”, ma sei tu a doverti adeguare a questa vita, che ti va un po’ stretta.

La complessità di questa “diversa” modalità di pensiero e di visione della realtà è evidente in alcuni capitoli, in cui non è facile immedesimarsi nelle sensazioni ed emozioni che prova questa ragazza che racconta. Proprio perché sono emozioni così forti che solo una persona che ha vissuto queste situazioni può comprendere.

“Infatti tutti siamo diversi, ed è proprio per questa nostra diversità ci piace sentirci amati”

Ciò che mi ha colpito in maniera particolare di questo libro è che sottolinea la necessità di una risalita. Si sofferma su questa fase della malattia, una fase, certo, non facile, soprattutto quando non sei circondata da persone che ti spronano a puntare i tuoi occhi in alto. E la tentazione, o la paura, di tornare indietro è sempre dietro l’angolo.

Sono stata onorata di leggere questo libro, perché ha una profondità e allo stesso tempo ti riporta bruscamente con i piedi per terra. Non si è mai pronti ad ascoltare queste parole e ad affrontare queste situazioni. E se comprendere è difficile, l’unica cosa che il lettore può fare è rendersi conto dell’esistenza del problema, ed è proprio questo l’auspicio dell’autrice: aiutare queste persone nella risalita.

“Se un giorno, quindi, questo diario verrà letto, io chiedo alle madri, che vedono questa situazione sulle proprie figlie, di essere comprensive e di non allarmarsi, ma di aiutarle a comprendere i rischi e affrontarle a faccia alt, e soprattutto capire da cosa è dovuto il loro problema, mostrando loro anche più volte al giorno il proprio affetto”

Voto:

5/5

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